Le European Supervisory Authorities (EBA, EIOPA e ESMA – ESAs), le tre autorità che vigilano sul settore finanziario dell’UE hanno pubblicato, a giugno 2023, un’analisi preliminare sul fenomeno del greenwashing definendolo come la pratica in cui le affermazioni, le dichiarazioni, le azioni o le comunicazioni relative alla sostenibilità non riflettono in modo chiaro ed equo il profilo di sostenibilità sottostante di un’entità, di un prodotto finanziario o di un servizio finanziario. Questo tipo di attività potrebbero essere ingannevoli per i consumatori, gli investitori e gli altri operatori del mercato.
Tale termine è stato coniato già nel 1986 da Jay Westerveld nel denunciare la pratica di alcune catene alberghiere che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria a disposizione degli ospiti per invitarli a ridurre il consumo di asciugamani, nascondendo – nella realtà – una mera motivazione economica relativa ai costi di gestione.
In Italia si è iniziato a porre attenzione a tale questione, soprattutto, a seguito della storica ordinanza cautelare emessa nel 2021 dal Tribunale di Gorizia nel caso Alcantara s.p.a. vs. Miko s.r.l. dove la ricorrente lamentava che la rivale utilizzava claim ambientali senza che gli stessi fossero supportati da prove scientifiche. In particolare, l’attrice definiva ingannevoli quelle affermazioni ai fini commerciali di carattere green e ambientalistico che la convenuta attribuiva (falsamente) al proprio prodotto, al suo impiego e al metodo di produzione.
Il giudice, inibendo la società Miko dalla diffusione – in via diretta o indiretta – di messaggi pubblicitari ingannevoli, sanciva il principio per cui “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da una impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto del consumatore” richiamando, altresì, il Codice di Autodisciplina del 2014 dove in tema di Tutela dell’ambiente naturale, all’art. 12, stabilisce che “La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono”.
Secondo le ESA tale inganno si realizza con falsità o omissioni: è greenwashing quando un’affermazione sulla sostenibilità contiene informazioni false o capaci di ingannare consumatori, investitori e altri partecipanti al mercato, oppure quando vengono omesse informazioni rilevanti per le loro decisioni. Caratteristiche comuni di tali comunicazioni sono, per esempio, che le informazioni o dati non sono supportati da un’analisi puntuale di quanto dichiarato, vengono comunicati come certificati mentre invece non sono riconosciuti da organi autorevoli, vengono enfatizzate singole caratteristiche di quanto comunicato o le informazioni sono eccessivamente generiche al punto da creare confusione nei consumatori.
Una volta smascherato l’inganno, ricostruire la fiducia persa è molto difficile: la conseguenza è che il danno risulterà superiore al beneficio che l’azienda sperava di ottenere.
Da un’altra prospettiva, vedere che la propria azienda viene premiata per dei claim non reali, potrebbe portare quest’ultima a non impegnarsi per migliorare i propri standard e accontentarsi dello status già acquisito. Per gli investitori, altresì, non identificare le aziende che hanno realmente inserito la sostenibilità nei loro obiettivi, può comportare il rischio di finanziare progetti e imprese ESG che – nella realtà – non apportano alcun beneficio all’ambiente e alle persone.
Per avere una consulenza specializzata sul tema, i Professionisti dello Studio Baracco Fornasiero sono a vostra disposizione.